Finalmente trovo un attimo per scrivere due righe su Radda nel Bicchiere 2012, un edizione che si è presentata con tante novità:
1 La scesa in campo di Angela Fronti e della sua famiglia con il vino Istine, dove quel 5% di Merlot, si perde benissimo nel Sangiovese.
2 Altro nuovo arrivato L’Erta di Radda di Diego Finocchi, vino semplice nella sua piacevolezza e con tutte le carte per diventare un “raddese” come si deve.
3 La degustazione alla cieca organizzata dall’Enoclub Siena: tra i tanti vini autoctoni e vari intrusi è bello capire che la gente ha scambiato un blend di due Merlot, uno de I Fabbri di Lamole e l’altro di Montemaggio, per Sangiovese. Segno che oltre il vitigno c’entra davvero il territorio.
4 Degustazione Radda & Borgogna riuniti nell’eccellenza: c’è da capire cosa passasse per la testa di Raoul Salama, quando ha fatto la scelta dei vini di Radda. Altro che degustazione alla cieca, non ci siamo proprio… Vi lascio al resoconto di Andrea per capirne meglio il senso…
Il merito di poter assaggiare sotto il porticato della chiesa di Santa Maria eccellenze della Borgogna e realtà del Chianti (Storico) raddese è grazie all’impegno e la passione di Riccardo Porciatti e delle ragazze e ragazzi del luogo che con gli apini fungono da manovalanza e da gioiosi incursori della manifestazione.
Dalla degustazione guidata da Raoul Salama con la collaborazione di Marie-Sylvie Haniez, la rappresentanza dei vini (presenti) di Radda ne esce pesantemente con le ossa rotte e bei lividi addosso con l’eccezione di Caparsa che, pur essendo rappresentata da un 2004 di colore intenso (colorino) e dalle qualità in divenire, tiene alta la bandiera.
Premier Cru e Grand Cru Maison Louis Jadot, Chateau de la Tour e Hospices de Beaune la rappresentanza borgognona.
Le parole di Pierre Labet di Chateau de le Tour equivalgono ad una lezione di vita e di vino nella quale cogliere a piene mani fierezza del fare nel rispetto del luogo, delle regole, della massima qualità del prodotto finale da viti piantate nel 1910, allevate a guyot (qui capo e razzolo) nella consapevolezza che una vite da il meglio di se quando è anziana e se non la si sfrutta e tratta come una maiala prolifica da buttare appena la quantità e la consuzione da sforzo la abbrutireranno di fatica e stenti.
Noi di norma mettiamo le mani avanti dicendo che si fa biologico e dando per scontato il fatto che il vino sia già per questo buono o, a parlare della quantità ci potrebbe o dovrebbe essere di Sangiovese in una bottiglia mescolata a un’infinità di variabili e vinificata fra tini tronco conici fin nei trucioli elevata al massimo grado di antani da addetti stampa e propaganda a rappresentare le aziende.
Loro a parlare di anni, luoghi, storia, arte, clima, persone, vino e viti e particelle diverse l’un l’altra da metro a metro di vigne e prezzo dei terreni in base alla qualità del vino vi viene prodotto, noi a ragionare di contributi di 4300 € ad ettaro provengono dalla comunità tramite la regione, per buttare via l’uva dalla pianta prima della fioritura, spesso da terreni mal esposti, messi male, abbandonati e rinverditi solo per arrivare a pigliare i contributi.
Onore alla Borgogna.
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